Categoria: consulenza patrimoniale

Non aspettare, non sarà mai il momento giusto.

L’imprenditore Giovanni a fine serata sta pensando al percorso compiuto dalla sua azienda. Ripensa a come la sua famiglia nel tempo sia riuscita a trasformare in una solida azienda la vecchia bottega che suo nonno affidò a suo padre e che questi trasferì a lui. È orgoglioso e soddisfatto ma ha un cruccio: anche se è già in pensione, sta continuando a lavorare, poiché i contributi versati non gli consentono di mantenere il tenore di vita a cui è abituato e, nello stesso tempo, non vorrebbe distrarre risorse all’azienda. Suo figlio Francesco, terminati gli studi ed i master all’estero, ha incominciato ad occuparsi delle strategie di marketing del “brand” di famiglia e sembra stia ottenendo ottimi risultati. Giovanni è consapevole che, in Italia, soltanto il 10% delle imprese arriva alla terza generazione e vorrebbe assicurare a suo figlio Francesco un futuro post lavorativo più sereno rispetto a quello che lui sta vivendo. Pertanto, parla con Roberto, Consulente Aziendale, per esporgli le sue preoccupazioni e ricevere qualche consiglio. Roberto gli suggerisce di incontrare Paolo, Consulente Finanziario di cui ha già avuto modo di apprezzare la professionalità. Pertanto, i tre, ai quali si aggrega Francesco, si incontrano e Giovanni riferisce a Paolo che, per quando lui non ci sarà più, vorrebbe lasciare a suo figlio un tesoretto, un salvadanaio che sia anche impignorabile. Paolo gli spiega che le soluzioni possono essere molteplici, ma intanto ne propone una da utilizzare sin da subito. Poiché Francesco ha 37 anni ed ancora 30 anni almeno per la pensione, suggerisce di accantonare 430 € al mese attraverso la previdenza complementare. Inoltre, grazie al beneficio fiscale previsto, Francesco risparmierà 2.120 euro all’anno e potrà far confluire anche questa quota nel piano previdenziale. In concreto, quando Francesco andrà in pensione, avrà versato nel suo fondo 154.920,00 € e, ipotizzando un rendimento del 4% al netto dell’inflazione, potrà contare su un montante contributivo di circa 400.000,00, che sommato a quanto accantonato con il risparmio fiscale di 180.00,00 arriverebbe a 580.000,00. Questo importo garantirebbe a Francesco una rendita vitalizia integrativa alla pensione pubblica attorno ai 32.000,00 all’anno. Ad essere precisi, detta cifra, considerando l’inflazione, corrisponderebbe a circa 18.000 di oggi, cioè quasi 1.500 € al mese. Giovanni ringrazia Paolo, valutando favorevolmente quanto esposto dal Consulente Finanziario, confermando che l’operazione può essere perfezionata sin da subito.

Il Piano di Accumulo

Gli italiani detengono in liquidità quasi 1.800 miliardi di euro, tra conti correnti e depositi, probabilmente non soltanto per esigenze di spese imminenti, ma, soprattutto, a causa delle perplessità che impediscono loro di prendere decisioni d’investimento in modo sereno.

Sono tanti gli interrogativi che frenano gli italiani dall’investire il proprio denaro:

  • se fosse il momento sbagliato per entrare nel mercato?
  • cosa si fa se capita un’emergenza e servono i soldi?
  • a quali rischi si va incontro?

Una risposta a questi dubbi, tutti leciti, ma non del tutto fondati, potrebbe essere il PAC, acronimo di piano di accumulo del capitale. Il PAC è una modalità di investimento, non un prodotto, che consente di investire somme costanti a cadenze regolari, cioè a rate, in strumenti di investimento collettivo del risparmio, come fondi e sicav.

È importante sottolineare che la scelta del comparto e della Casa di Investimento andrebbero sempre attentamente valutate con un Consulente di fiducia, tenendo conto del proprio profilo di rischio e degli obiettivi temporali. Pertanto, il numero dei versamenti periodici, la loro frequenza e l’importo della rata verranno stabiliti in base alle proprie esigenze e necessità.

Ma quali sono i VANTAGGI rispetto ad altre modalità di investimento o, ad esempio, rispetto al lasciare i soldi sul conto corrente?

  1. Il Pac è una forma di investimento aperta a tutti! Infatti, non servono grosse somme per investire, l’entità della rata può essere più o meno elevata in base alle proprie tasche ed agli obiettivi che si vogliono raggiungere!
  • Flessibilità: l’importo della rata può essere modificato in qualunque momento; il capitale complessivo che si forma mese dopo mese è sempre disponibile ed è privo di vincoli.
  • Entrare nel mercato lungo un arco di tempo prolungato, non in un solo specifico momento, consente di aggirare il dilemma del cosiddetto market timing cioè della paura di non centrare il momento giusto per investire. Ebbene, questo problema si riduce notevolmente perché l’investimento viene spalmato in un periodo medio lungo ed in situazioni di mercato diverse tra loro.
  • Con il Pac si doma la volatilità e l’emotività dell’investitore. In un periodo medio lungo il mercato andrà incontro a periodi positivi, negativi, e variabili: risultato? Si farà una media della volatilità di tutto il periodo! Facciamo l’esempio di un caso reale: abbiamo iniziato ad investire a novembre 2019 in un PAC, attraverso il comparto X, e nel mese di marzo 2020, come tutti sappiamo, i mercati sono scesi. Ebbene, il versamento di quel mese ci ha consentito di incrementare le quote acquistate a prezzi molto più convenienti, infatti, con la stessa cifra abbiamo comprato più quote, riducendo la media dei prezzi di acquisto. Il rischio percepito sarà stato di gran lunga inferiore rispetto a quello di ogni altro investitore e, in questo modo, l’emotività è rimasta contenuta e sotto controllo. Possiamo paragonarlo alle giornate afose d’estate: si prende in considerazione la temperatura effettiva, ma anche quella percepita, ad esempio in base all’umidità o al vento presenti nell’ambiente.
  • Entrando gradualmente nei mercati, il Pac si rivela essere un eccellente strumento per raggiungere obiettivi di medio e lungo termine, come l’accantonamento di una somma per l’università dei figli o dei nipoti oppure un capitale per la previdenza integrativa per il periodo post lavorativo, eliminando al risparmiatore, allo stesso tempo, ogni problema di gestione dell’investimento, poiché il suo risparmio viene attentamente curato da un gestore professionale, il quale amministra ogni sua rata versata alla stessa stregua di un grande patrimonio!

Tassi di interesse negativi? Penalizzati più i clienti che le banche!

Tra gli elementi che vengono considerati quando si svolge l’attività di Consulenza Patrimoniale ci sono anche la ricchezza liquida ed i depositi familiari e dell’azienda.

In quale scenario ci stiamo muovendo oggi?

Il tasso di interesse applicato dalla Banca Centrale Europea ai depositi degli Istituti di credito è negativo (è arrivato a -0,5%) ed è innegabile che questa situazione si traduca in un costo elevato per il sistema bancario. A dire il vero, nelle sue intenzioni, la BCE non avrebbe voluto penalizzare le banche ma incentivare la ripresa economica, scoraggiando l’utilizzo dei depositi di liquidità e stimolando gli operatori del credito a finanziare maggiormente i consumatori ed il mondo produttivo.

Invece, un po’ per la debolezza strutturale dell’economia italiana ed un po’ per il sopraggiungere della pandemia, la liquidità è rimasta dove era, anzi ha avuto un notevole incremento e, come si legge nella rubrica Finanza e Mercati de “Il Sole 24 ore”, oggi in Italia ha toccato il record di 1.746 miliardi di euro. In questo contesto, la banca citata nell’articolo sta intimando addirittura la chiusura dei conti con liquidità superiore a 100 mila €, a meno che i clienti non stiano utilizzando prodotti di investimento o di finanziamento. Questa iniziativa è successiva a quella di Unicredit che, a partire da luglio dello scorso anno, ha introdotto sulle giacenze superiori al milione di euro un costo dello 0,50% annuo per i nuovi clienti imprenditori.

Altre banche, invece, hanno cercato di bilanciare i maggiori costi sostenuti per il parcheggio della liquidità presso la Bce con il trasferimento sui clienti di una parte di quegli oneri. In pratica, lo scenario dei tassi negativi si sta concretizzando, indirettamente, attraverso l’innalzamento dei costi di gestione del conto corrente e di altri servizi, con commissioni più elevate per le operazioni eseguite e, talvolta, prendendo a pretesto i maggiori oneri sopportati dalla Banca per sostenere il Fondo Interbancario di garanzia e tutela dei depositi!

Se pensiamo che a tutto ciò si potrebbe aggiungere, per arginare la crescita del nostro debito pubblico, anche un provvedimento di tassazione della liquidità dei conti, modello patrimoniale del 1992 del Governo Amato, il consiglio rimane sempre lo stesso: ricercare, ove possibile, soluzioni di investimento!

Inasprimenti fiscali: quali soluzioni per il tuo patrimonio?

Quali inasprimenti fiscali hanno una maggiore probabilità di essere adottati in un prossimo futuro?

1.  La riforma delle rendite catastali degli immobili?

2.  L’inasprimento delle imposte di donazione e successione?

3.  Il prelievo forzoso sui conti, modello governo Amato?

Se venisse portata a compimento la riforma delle rendite catastali, per limitare il suo impatto, alcuni penserebbero di conferire gli immobili all’interno di Trust o Società, sottovalutando il fatto che queste operazioni costerebbero il 9% del valore dell’immobile! È chiaro che, considerando che in Italia più del 50% del patrimonio privato è proprio rappresentato da immobili, l’obiettivo principale, escludendo abitazioni, case per le vacanze ed immobili che generano un reddito interessante, sarebbe quello di ridurre il più possibile la componente immobiliare. Infatti, esistono moltissimi immobili che vengono definiti “esausti”, cioè che non generano reddito, che hanno già subito una riduzione del loro valore e che non presentano affatto buone prospettive di rivalutazione. Molti, per evitare di realizzare una minusvalenza o sperando, invano, che l’immobile possa apprezzarsi, tendono, purtroppo, a procrastinarne la vendita.

Invece, rispetto ad un possibile inasprimento delle tasse di successione, si ricorda che negli ultimi sette anni abbiamo assistito addirittura alla presentazione di quattro proposte di legge sull’argomento. È vero, nessuna di esse è andata a buon fine, ma è altrettanto vero che quattro tentativi di quattro differenti governi sono più che un’anticipazione di un’annunciata riforma.

Quindi, in relazione ai temuti provvedimenti sul fronte fiscale, tre potrebbero essere le possibili soluzioni. La prima riguarda gli immobili, la seconda le aziende e le partecipazioni societarie, la terza riguarda il patrimonio finanziario.

Ad esempio, per gli immobili può essere interessante valutare il trasferimento della “nuda proprietà”. Con i valori catastali attuali, cioè ante completamento della riforma, l’operazione si rivelerebbe anche più interessante, potendo sfruttare la franchigia di un milione di euro, la più alta in Europa! Inoltre, si avrebbe uno sconto importante sulla base imponibile: ad esempio, se un genitore di 65 anni mantenesse l’usufrutto e trasferisse la nuda proprietà al figlio, l’usufrutto varrebbe il 50% e quindi la nuda proprietà il rimanente 50%, per cui, essendo il valore catastale sotto il milione di euro, non pagherebbe nulla.

Per quanto riguarda le aziende, nel 2007 il governo Berlusconi ha introdotto la possibilità di trasferire la loro proprietà agli eredi in esenzione fiscale. Per le società di capitali devono essere presenti due condizioni ed una per le società di persone. Per le società di capitali è indispensabile che ci sia il mantenimento del controllo dell’azienda da parte dei discendenti, cioè la maggioranza dei diritti di voto, e che si eviti la vendita per almeno cinque anni. Per le società di persone, invece, è sufficiente non vendere l’azienda per i successivi cinque anni. Carlo De Benedetti, ad esempio, nel 2011 ha trasferito ai suoi tre figli l’80% della Holding di famiglia, società di capitali, e grazie all’impegno dei figli di mantenere la proprietà per almeno cinque anni, ha potuto usufruire dell’esenzione fiscale completa.

Il terzo suggerimento riguarda la parte relativa agli investimenti finanziari e, per questo aspetto, si consiglia l’attivazione di contratti di investimenti assicurativi a vita intera. Infatti, dal lontano 1973, queste tipologie di contratti sono esenti dall’imposta di donazione e successione e, nonostante le modifiche normative succedutesi negli anni, l’esenzione non è mai stata abolita. Questi suggerimenti andrebbero messi in pratica prima possibile, anticipando le eventuali riforme, sempre che le stesse non contengano indicazioni di retroattività. Alcuni strumenti come le polizze vita ed i fondi pensione, che racchiudono agevolazioni fiscali previste dal legislatore, sono certamente le forme che hanno maggiore probabilità di non essere nemmeno sfiorate da eventuali inasprimenti fiscali, poiché lo stesso legislatore le ha già giudicate meritevoli di tutele fiscali nel corso degli anni.

In ultimo, per evitare provvedimenti riguardanti il prelievo forzoso sui conti correnti, come quello attuato da Giuliano Amato, cosa fare? Ritirare il contante e depositarlo nelle cassette di sicurezza? Disporre bonifici in conti esteri? Forse negli anni “90 sarebbero state delle buone strategie, ma oggi non è così. Ad esempio, se pensate di prelevare allo sportello una cospicua somma in contanti, sappiate che state andando incontro al rischio, quasi certo, che a vostro carico venga effettuata una segnalazione di antiriciclaggio. Per giunta, senza alcuna certezza di evitare il pagamento di eventuali imposte patrimoniali, perché talvolta, i provvedimenti vengono retrodatati al primo gennaio dell’anno fiscale in cui sono adottati. Inoltre, se anche la “patrimoniale” non fosse retrodata, dopo due o tre anni, cessato l’allarme per la temuta imposta, andando a rimettere in circuito quel contante si invertirebbe l’onere della prova. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate potrebbe chiedere informazioni sulla provenienza di quel denaro e, a seguito di accertamenti, irrogare sanzioni piuttosto onerose. Anche la seconda strategia, quella del bonifico estero, avrebbe una scarsissima efficacia; la normativa, infatti, prevede l’indicazione nel riquadro RW della dichiarazione dei redditi delle somme che durante l’anno sono state trasferite all’estero. Così facendo, l’amministrazione finanziaria ne verrebbe senz’altro a conoscenza e, come prevede la “Legge Salva Italia” approvata dal governo Monti nel 2011, si dovrebbe, come per il patrimonio in Italia, versare comunque l’imposta di bollo dello 0,2% anche su quello estero, cioè l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero, mentre la tassa prevista per gli immobili all’estero è l’IVIE che è pari allo 0,76%). Se poi qualcuno pensasse di trasferire all’estero un patrimonio e non dichiararlo nel quadro RW, la situazione diventerebbe ancora più problematica. Infatti, già dal novembre scorso, l’amministrazione finanziaria italiana ha cominciato a ricevere dal CRS (Common Reporting Standard, Organizzazione internazionale istituita nel 2014 per l’interscambio delle informazioni bancarie contro l’evasione fiscale) le prime comunicazioni, per ora riferite soltanto agli anni 2016 e 2017, di situazioni sospette per le quali sono già stati avviati accertamenti.

In realtà, come spesso accade, le soluzioni più semplici sono anche quelle più efficaci. Infatti, per evitare di subire un prelievo forzoso sui depositi sarebbe sufficiente non tenere la liquidità in esubero sui conti correnti ma investirla, ad esempio, attraverso strumenti di risparmio gestito (fondi, sicav, etf ecc). Infatti, i prelievi forzosi hanno sempre carattere di urgenza e solitamente vanno a colpire quella parte di patrimonio immediatamente disponibile, escludendo, quindi, gli investimenti, che tecnicamente non sono liquidabili all’istante. Mi rendo conto, però, che questa risulta essere una argomentazione alquanto impopolare oggi, visto che nell’ultimo anno i depositi bancari hanno avuto un incremento di circa 181 miliardi di euro! Pensate, la cifra oggi tenuta in liquidità in Italia, cioè 1.744 miliardi, risulta essere, addirittura, superiore al PIL (1.651)!

Inasprimenti fiscali? Quale impatto sul tuo patrimonio?

Il rapporto Debito pubblico PIL del nostro Paese ha raggiunto il 158,9% nel 2020 ed il Governo si è già espresso in merito alle linee programmatiche da attuare, una volta superata la presentazione del Recovery Plan, per rendere sostenibile il debito italiano nel medio lungo termine. I provvedimenti da adottare verteranno, in particolare, su due aspetti: gli interventi sulla spesa pubblica, da una parte, e quelli sul fronte fiscale dall’altro. Per la spesa pubblica assisteremo, probabilmente, al contenimento di quella “cattiva”, come l’ha definita Draghi, cioè quella corrente, ed allo stimolo, invece, della spesa pubblica “buona”, cioè quella che andrebbe a finanziare gli investimenti ed a favorire la crescita. L’adozione di provvedimenti sul lato fiscale, invece, si concentreranno, probabilmente, da un lato, sulla rimodulazione del sistema, con un alleggerimento della pressione sui redditi e, dall’altra, sull’inasprimento delle tasse sui patrimoni. Focalizzando la nostra attenzione sull’argomento degli inasprimenti fiscali, in particolar modo per quanto concerne quella parte legata ai patrimoni, la domanda da porsi è la seguente: quali basi imponibili potrebbero avere la maggiore probabilità di essere colpite con i futuri provvedimenti? Scrutando in breve quanto accaduto nella storia del nostro Paese, possiamo constatare come in Italia siano già state applicate, in passato, diversi tipi di imposte patrimoniali. La prima è, addirittura, datata 1920 con il governo Nitti, quando l’Italia usciva dal primo conflitto mondiale e, quindi, presentava un debito pubblico particolarmente elevato. Negli anni 1936, “37 e “38, il governo Mussolini, invece, introdusse le imposte del 3,5% sulle proprietà immobiliari, del 7,5% sul capitale delle società di persone e, addirittura del 10%, su quelle di capitali. Per quanto riguarda, invece, uno dei diversi governi De Gasperi, nel 1950 fu introdotta un’altra patrimoniale pesantissima, tra il 6 ed il 61% sui patrimoni delle persone fisiche. La storia delle patrimoniali prosegue ancora nel secolo scorso con l’INVIM del 1973, imposta sulle plusvalenze immobiliari, l’introduzione dell’ICI, sempre sugli immobili e, nel 1992, nella notte tra il 10 e l’11 luglio, con il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti e depositi, introdotto dal governo Amato. La storia ci insegna che le patrimoniali ci sono state, hanno sempre colpito gli immobili, ed hanno sempre previsto esenzioni per quegli strumenti già agevolati fiscalmente. Se poi allarghiamo l’analisi dalla storia d’Italia all’attualità, cioè alla situazione odierna in Europa, il quadro non cambia. La patrimoniale forse più nota di tutte è quella francese. Si chiamava “imposta sulla fortuna” che, nel 2017 con Macron, ha cambiato il suo nome in imposta sulla “fortuna immobiliare”. Il governo francese ha scelto di modificarne la base imponibile concentrando la pressione fiscale sugli immobili poiché le imposizioni su investimenti e patrimoni mobiliari erano andate ad influire negativamente sull’occupazione e la crescita economica. In Germania esisteva fino al secolo scorso una patrimoniale annuale che colpiva tutto il patrimonio delle persone fisiche ma, nel 1998, la Merkel decise di trasformare questa tassa in una imposta locale sugli immobili, equivalente alla nostra IMU. Anche in Gran Bretagna esiste una patrimoniale, anche lì è annuale e riguarda gli immobili, con aliquote che oscillano tra il 3 ed il 4%. Anche estendendo l’osservazione ai vari Paesi dell’OCSE, più della metà del gettito fiscale di questi deriva dagli immobili, seguita dalle transazioni finanziarie e dalle imposte di donazione e successione che, tra l’altro, nel nostro Paese sono particolarmente basse. A preoccupare ancora di più le famiglie è il fatto che, sia la Commissione Europea, sia il Fondo Monetario Internazionale che l’OCSE, hanno espresso più volte indicazioni circa l’adozione di provvedimenti di inasprimento fiscale per quei Paesi, come l’Italia, con rapporto critico debito pubblico PIL. Tutti questi suggerimenti andrebbero verso un modello cosi definito dei tre pilastri, che dovrebbe anche condurci verso un’armonizzazione fiscale a livello europeo. Si tratterebbe di un modello che prevede la riduzione dell’imposta sui redditi ed un contemporaneo aumento delle imposte sugli immobili e di quelle indirette sui patrimoni, in particolare di quelli successori. Inoltre, dobbiamo sottolineare anche che esistono diversi progetti di riforma in Italia, ad esempio quella del catasto avviata nel 2014 che ha subito un rallentamento, per i quali si stanno riavviando i lavori. Dobbiamo ricordare, inoltre, come lo stesso Draghi ha chiarito che abbiamo bisogno, non di un singolo intervento ma, di un riequilibrio di tutto il nostro impianto fiscale che, quindi, dovrebbe portare a quell’impostazione del sistema basato sui tre pilastri prima descritti. Solo qualche settimana fa Mario Monti suggeriva di andare a rivedere le imposte successorie del nostro Paese, attualmente molto distanti da quelle della media europea. Da noi un figlio non paga nulla per un’eredità sotto il milione di euro mentre, per la parte eccedente, verserebbe allo Stato solo il 4%. Un francese, invece, verserebbe dal 5 al 45%, con una franchigia di 100.000 €, mentre un inglese pagherebbe un’aliquota fissa del 40%, per patrimoni sopra le 325.000 sterline. Quindi, riassumendo, ci sarebbero argomenti validi per ritenere che i provvedimenti futuri potrebbero, quasi certamente, mettere al centro inasprimenti fiscali sugli immobili e sui patrimoni, specie quelli in successione.