Mese: Marzo 2021

Inasprimenti fiscali: quali soluzioni per il tuo patrimonio?

Quali inasprimenti fiscali hanno una maggiore probabilità di essere adottati in un prossimo futuro?

1.  La riforma delle rendite catastali degli immobili?

2.  L’inasprimento delle imposte di donazione e successione?

3.  Il prelievo forzoso sui conti, modello governo Amato?

Se venisse portata a compimento la riforma delle rendite catastali, per limitare il suo impatto, alcuni penserebbero di conferire gli immobili all’interno di Trust o Società, sottovalutando il fatto che queste operazioni costerebbero il 9% del valore dell’immobile! È chiaro che, considerando che in Italia più del 50% del patrimonio privato è proprio rappresentato da immobili, l’obiettivo principale, escludendo abitazioni, case per le vacanze ed immobili che generano un reddito interessante, sarebbe quello di ridurre il più possibile la componente immobiliare. Infatti, esistono moltissimi immobili che vengono definiti “esausti”, cioè che non generano reddito, che hanno già subito una riduzione del loro valore e che non presentano affatto buone prospettive di rivalutazione. Molti, per evitare di realizzare una minusvalenza o sperando, invano, che l’immobile possa apprezzarsi, tendono, purtroppo, a procrastinarne la vendita.

Invece, rispetto ad un possibile inasprimento delle tasse di successione, si ricorda che negli ultimi sette anni abbiamo assistito addirittura alla presentazione di quattro proposte di legge sull’argomento. È vero, nessuna di esse è andata a buon fine, ma è altrettanto vero che quattro tentativi di quattro differenti governi sono più che un’anticipazione di un’annunciata riforma.

Quindi, in relazione ai temuti provvedimenti sul fronte fiscale, tre potrebbero essere le possibili soluzioni. La prima riguarda gli immobili, la seconda le aziende e le partecipazioni societarie, la terza riguarda il patrimonio finanziario.

Ad esempio, per gli immobili può essere interessante valutare il trasferimento della “nuda proprietà”. Con i valori catastali attuali, cioè ante completamento della riforma, l’operazione si rivelerebbe anche più interessante, potendo sfruttare la franchigia di un milione di euro, la più alta in Europa! Inoltre, si avrebbe uno sconto importante sulla base imponibile: ad esempio, se un genitore di 65 anni mantenesse l’usufrutto e trasferisse la nuda proprietà al figlio, l’usufrutto varrebbe il 50% e quindi la nuda proprietà il rimanente 50%, per cui, essendo il valore catastale sotto il milione di euro, non pagherebbe nulla.

Per quanto riguarda le aziende, nel 2007 il governo Berlusconi ha introdotto la possibilità di trasferire la loro proprietà agli eredi in esenzione fiscale. Per le società di capitali devono essere presenti due condizioni ed una per le società di persone. Per le società di capitali è indispensabile che ci sia il mantenimento del controllo dell’azienda da parte dei discendenti, cioè la maggioranza dei diritti di voto, e che si eviti la vendita per almeno cinque anni. Per le società di persone, invece, è sufficiente non vendere l’azienda per i successivi cinque anni. Carlo De Benedetti, ad esempio, nel 2011 ha trasferito ai suoi tre figli l’80% della Holding di famiglia, società di capitali, e grazie all’impegno dei figli di mantenere la proprietà per almeno cinque anni, ha potuto usufruire dell’esenzione fiscale completa.

Il terzo suggerimento riguarda la parte relativa agli investimenti finanziari e, per questo aspetto, si consiglia l’attivazione di contratti di investimenti assicurativi a vita intera. Infatti, dal lontano 1973, queste tipologie di contratti sono esenti dall’imposta di donazione e successione e, nonostante le modifiche normative succedutesi negli anni, l’esenzione non è mai stata abolita. Questi suggerimenti andrebbero messi in pratica prima possibile, anticipando le eventuali riforme, sempre che le stesse non contengano indicazioni di retroattività. Alcuni strumenti come le polizze vita ed i fondi pensione, che racchiudono agevolazioni fiscali previste dal legislatore, sono certamente le forme che hanno maggiore probabilità di non essere nemmeno sfiorate da eventuali inasprimenti fiscali, poiché lo stesso legislatore le ha già giudicate meritevoli di tutele fiscali nel corso degli anni.

In ultimo, per evitare provvedimenti riguardanti il prelievo forzoso sui conti correnti, come quello attuato da Giuliano Amato, cosa fare? Ritirare il contante e depositarlo nelle cassette di sicurezza? Disporre bonifici in conti esteri? Forse negli anni “90 sarebbero state delle buone strategie, ma oggi non è così. Ad esempio, se pensate di prelevare allo sportello una cospicua somma in contanti, sappiate che state andando incontro al rischio, quasi certo, che a vostro carico venga effettuata una segnalazione di antiriciclaggio. Per giunta, senza alcuna certezza di evitare il pagamento di eventuali imposte patrimoniali, perché talvolta, i provvedimenti vengono retrodatati al primo gennaio dell’anno fiscale in cui sono adottati. Inoltre, se anche la “patrimoniale” non fosse retrodata, dopo due o tre anni, cessato l’allarme per la temuta imposta, andando a rimettere in circuito quel contante si invertirebbe l’onere della prova. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate potrebbe chiedere informazioni sulla provenienza di quel denaro e, a seguito di accertamenti, irrogare sanzioni piuttosto onerose. Anche la seconda strategia, quella del bonifico estero, avrebbe una scarsissima efficacia; la normativa, infatti, prevede l’indicazione nel riquadro RW della dichiarazione dei redditi delle somme che durante l’anno sono state trasferite all’estero. Così facendo, l’amministrazione finanziaria ne verrebbe senz’altro a conoscenza e, come prevede la “Legge Salva Italia” approvata dal governo Monti nel 2011, si dovrebbe, come per il patrimonio in Italia, versare comunque l’imposta di bollo dello 0,2% anche su quello estero, cioè l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero, mentre la tassa prevista per gli immobili all’estero è l’IVIE che è pari allo 0,76%). Se poi qualcuno pensasse di trasferire all’estero un patrimonio e non dichiararlo nel quadro RW, la situazione diventerebbe ancora più problematica. Infatti, già dal novembre scorso, l’amministrazione finanziaria italiana ha cominciato a ricevere dal CRS (Common Reporting Standard, Organizzazione internazionale istituita nel 2014 per l’interscambio delle informazioni bancarie contro l’evasione fiscale) le prime comunicazioni, per ora riferite soltanto agli anni 2016 e 2017, di situazioni sospette per le quali sono già stati avviati accertamenti.

In realtà, come spesso accade, le soluzioni più semplici sono anche quelle più efficaci. Infatti, per evitare di subire un prelievo forzoso sui depositi sarebbe sufficiente non tenere la liquidità in esubero sui conti correnti ma investirla, ad esempio, attraverso strumenti di risparmio gestito (fondi, sicav, etf ecc). Infatti, i prelievi forzosi hanno sempre carattere di urgenza e solitamente vanno a colpire quella parte di patrimonio immediatamente disponibile, escludendo, quindi, gli investimenti, che tecnicamente non sono liquidabili all’istante. Mi rendo conto, però, che questa risulta essere una argomentazione alquanto impopolare oggi, visto che nell’ultimo anno i depositi bancari hanno avuto un incremento di circa 181 miliardi di euro! Pensate, la cifra oggi tenuta in liquidità in Italia, cioè 1.744 miliardi, risulta essere, addirittura, superiore al PIL (1.651)!

Inasprimenti fiscali? Quale impatto sul tuo patrimonio?

Il rapporto Debito pubblico PIL del nostro Paese ha raggiunto il 158,9% nel 2020 ed il Governo si è già espresso in merito alle linee programmatiche da attuare, una volta superata la presentazione del Recovery Plan, per rendere sostenibile il debito italiano nel medio lungo termine. I provvedimenti da adottare verteranno, in particolare, su due aspetti: gli interventi sulla spesa pubblica, da una parte, e quelli sul fronte fiscale dall’altro. Per la spesa pubblica assisteremo, probabilmente, al contenimento di quella “cattiva”, come l’ha definita Draghi, cioè quella corrente, ed allo stimolo, invece, della spesa pubblica “buona”, cioè quella che andrebbe a finanziare gli investimenti ed a favorire la crescita. L’adozione di provvedimenti sul lato fiscale, invece, si concentreranno, probabilmente, da un lato, sulla rimodulazione del sistema, con un alleggerimento della pressione sui redditi e, dall’altra, sull’inasprimento delle tasse sui patrimoni. Focalizzando la nostra attenzione sull’argomento degli inasprimenti fiscali, in particolar modo per quanto concerne quella parte legata ai patrimoni, la domanda da porsi è la seguente: quali basi imponibili potrebbero avere la maggiore probabilità di essere colpite con i futuri provvedimenti? Scrutando in breve quanto accaduto nella storia del nostro Paese, possiamo constatare come in Italia siano già state applicate, in passato, diversi tipi di imposte patrimoniali. La prima è, addirittura, datata 1920 con il governo Nitti, quando l’Italia usciva dal primo conflitto mondiale e, quindi, presentava un debito pubblico particolarmente elevato. Negli anni 1936, “37 e “38, il governo Mussolini, invece, introdusse le imposte del 3,5% sulle proprietà immobiliari, del 7,5% sul capitale delle società di persone e, addirittura del 10%, su quelle di capitali. Per quanto riguarda, invece, uno dei diversi governi De Gasperi, nel 1950 fu introdotta un’altra patrimoniale pesantissima, tra il 6 ed il 61% sui patrimoni delle persone fisiche. La storia delle patrimoniali prosegue ancora nel secolo scorso con l’INVIM del 1973, imposta sulle plusvalenze immobiliari, l’introduzione dell’ICI, sempre sugli immobili e, nel 1992, nella notte tra il 10 e l’11 luglio, con il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti e depositi, introdotto dal governo Amato. La storia ci insegna che le patrimoniali ci sono state, hanno sempre colpito gli immobili, ed hanno sempre previsto esenzioni per quegli strumenti già agevolati fiscalmente. Se poi allarghiamo l’analisi dalla storia d’Italia all’attualità, cioè alla situazione odierna in Europa, il quadro non cambia. La patrimoniale forse più nota di tutte è quella francese. Si chiamava “imposta sulla fortuna” che, nel 2017 con Macron, ha cambiato il suo nome in imposta sulla “fortuna immobiliare”. Il governo francese ha scelto di modificarne la base imponibile concentrando la pressione fiscale sugli immobili poiché le imposizioni su investimenti e patrimoni mobiliari erano andate ad influire negativamente sull’occupazione e la crescita economica. In Germania esisteva fino al secolo scorso una patrimoniale annuale che colpiva tutto il patrimonio delle persone fisiche ma, nel 1998, la Merkel decise di trasformare questa tassa in una imposta locale sugli immobili, equivalente alla nostra IMU. Anche in Gran Bretagna esiste una patrimoniale, anche lì è annuale e riguarda gli immobili, con aliquote che oscillano tra il 3 ed il 4%. Anche estendendo l’osservazione ai vari Paesi dell’OCSE, più della metà del gettito fiscale di questi deriva dagli immobili, seguita dalle transazioni finanziarie e dalle imposte di donazione e successione che, tra l’altro, nel nostro Paese sono particolarmente basse. A preoccupare ancora di più le famiglie è il fatto che, sia la Commissione Europea, sia il Fondo Monetario Internazionale che l’OCSE, hanno espresso più volte indicazioni circa l’adozione di provvedimenti di inasprimento fiscale per quei Paesi, come l’Italia, con rapporto critico debito pubblico PIL. Tutti questi suggerimenti andrebbero verso un modello cosi definito dei tre pilastri, che dovrebbe anche condurci verso un’armonizzazione fiscale a livello europeo. Si tratterebbe di un modello che prevede la riduzione dell’imposta sui redditi ed un contemporaneo aumento delle imposte sugli immobili e di quelle indirette sui patrimoni, in particolare di quelli successori. Inoltre, dobbiamo sottolineare anche che esistono diversi progetti di riforma in Italia, ad esempio quella del catasto avviata nel 2014 che ha subito un rallentamento, per i quali si stanno riavviando i lavori. Dobbiamo ricordare, inoltre, come lo stesso Draghi ha chiarito che abbiamo bisogno, non di un singolo intervento ma, di un riequilibrio di tutto il nostro impianto fiscale che, quindi, dovrebbe portare a quell’impostazione del sistema basato sui tre pilastri prima descritti. Solo qualche settimana fa Mario Monti suggeriva di andare a rivedere le imposte successorie del nostro Paese, attualmente molto distanti da quelle della media europea. Da noi un figlio non paga nulla per un’eredità sotto il milione di euro mentre, per la parte eccedente, verserebbe allo Stato solo il 4%. Un francese, invece, verserebbe dal 5 al 45%, con una franchigia di 100.000 €, mentre un inglese pagherebbe un’aliquota fissa del 40%, per patrimoni sopra le 325.000 sterline. Quindi, riassumendo, ci sarebbero argomenti validi per ritenere che i provvedimenti futuri potrebbero, quasi certamente, mettere al centro inasprimenti fiscali sugli immobili e sui patrimoni, specie quelli in successione.